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I PILASTRI DELLA CUCINA PIEMONTESE

La Bagna Cauda, la gloria della gastronomia piemontese ha origini antichissime, nasce in Provenza, nel buio Medio Evo, da operai delle saline che seduti in circolo immergevano nell'intingolo, aglio, acciughe e olio d'oliva, fusi insieme dalla cottura, dei semplici pezzi di pane. Giunta in Piemonte, merito a chi ve la portò, mantenne il rituale del cerchio attorno allo scaldino di terracotta ma sostituì il pane con le nostre verdure: il dolce cardo gobbo di Nizza, i peperoni, i topinambur e molte altre verdure autunnali sia cotte che crude. La Bagna Cauda, inizialmente relegata al mondo contadino, dalla metà del Novecento compare sulle tavole dei ristoranti dove diventa il simbolo della tipicità gastronomica piemontese; resta intatto il rito dello scaldino, anche se da collettivo diventa individuale e resta intatto il simbolo della convivialità e dell'amicizia, quasi un rito sociale in occasione di feste collettive. Quello che vi proponiamo ora può sembrare il menù completo di un pranzo, da giorno di festa secondo la più pura tradizione contadina, una carrellata di piatti giunti a noi da tempi antichissimi, ma anche frutto di contaminazioni territoriali e soprattutto delle mutate condizioni economiche della nostra gente. Iniziamo così con gli antipasti, il carattere più specifico della cucina piemontese, che non ha eguali, per numero, in nessun'altra Regione Italiana. Un classico d'inizio pasto è il piatto di salumi; si va dal salame cotto al cotechino caldo, dal salame crudo al prosciutto cotto per proseguire con la classica lingua lessata e servita con salsa verde, (prezzemolo, aglio e acciughe, il tutto tritato e con l'aggiunta d'olio d'oliva). Diventa antipasto, da inizio secolo, il vitello tonnato, (fettine di coscia di vitello Fassone bollito con verdure, cosparso di delicata salsa maionese tonnata), l'insalata russa, (un insieme di verdure lessate e tagliate a dadini immerse nella maionese unitamente ad altri ingredienti, diversi secondo la tradizione locale), i peperoni arrostiti nel forno e coperti da bagna cauda, l'insalata di carne cruda, rigorosamente di vitello Fassone battuta con il coltello e condita con molta semplicità: olio extravergine, succo di limone, sale, pepe, profumata da uno spicchio d'aglio intero, tipica nelle Langhe, arricchita in autunno dal prezioso tartufo. Un antipasto dobbligo, nel pranzo tradizionale, è il trionfale fritto misto; bistecchine, animelle, cervella e filoni, salsiccia e frisse di fegato, cappelle di porcino, tronchetti di semolino dolce e amaretti uniti a tanti altri ingredienti costituiscono un connubio di sapori e di profumi ineguagliabile. Una religiosa preparazione, anche nelle famiglie più povere, era destinata al raviolo o agnolotto, il nome cambia secondo la posizione geografica ed i diversi ingredienti. Nel Monferrato Casalese e nel Torinese il ripieno è costituito da sole carni di manzo e di maiale arrostite e ammorbidite dall'aggiunta di cervella o prosciutto, nel Basso Canavese oltre alle carni si aggiunge verza e salsiccia, a Gavi e nell'Alto Monferrato il raviolo profuma di maggiorana e di borragine, nel Cuneese carni e verdure, in preferenza verza mentre nell'Alessandrino e nel Tortonese il ripieno è costituito da uno stracotto di carne bovina al vino e il sugo servirà poi da condimento, nell'Astigiano viene usata carne di manzo e di maiale, in alcuni paesi anche coniglio, unita a verdure stufate, scarole, verza, spinaci e anche cardi. Non è raro trovare, tra gli ingredienti del ripieno, il riso. Diffusissimo in Langa è l'agnolotto al plin, letteralmente pizzicotto, di pasta sottilissima e di sola carne, dalla caratteristica forma a barchetta. Tradizionalmente il condimento dei ravioli o agnolotti era costituito da un sugo di carne e di verdure, oggi si preferisce condirli con il fondo di cottura delle carni o con burro e salvia. Da non tralasciare le paste, dai corzeti del Novarese, dischi di pasta stampata conditi con sugo di funghi, ai rabatòn della pianura Alessandrina, leggerissimi gnocchi di ricotta e erbe aromatiche gratinati in forno con burro e parmigiano, mentre dal Pinerolese e dal Saluzzese ci giungono gli strangolapreive, a base di farina, spinaci e uova; nelle valli occitane troviamo le ravioles, grossi gnocchi di patate e formaggio, nell'Alta Langa non è difficile trovare delle trattorie che ancora oggi preparano i macaron, pasta arrotolata sul ferro da calza e condita con sugo d'agnello. Infine, gli ormai noti tajarin langaroli, tagliati finissimi a mano. Diverso, da paese a paese, il numero dei tuorli d'uovo usati per l'impasto, serviti in ogni ristorante o trattoria con il classico sugo di rigaglie o ai funghi e nella stagione autunnale con una noce di burro e una grattata di profumatissimo tartufo. Il sivè rappresenta una delle tradizioni più antiche della gastronomia piemontese, nel modo di cucinare la selvaggina in genere, la lepre in particolare e prevede che la carne sia lasciata macerare, per almeno 24 ore, nel vino, barbera o nebbiolo, insieme a carote, sedano, alloro, cipolla e spezie prima di essere cucinata. Il vino è protagonista di molti secondi piatti a base di carne come gli stracotti dell'Alessandrino e del Tortonese o del più noto brasato al barolo, d'origine ottocentesca, portato in tavola prima dai ristoranti e solo da pochi decenni presente sulle mense famigliari. Altro retaggio dei ristoratori è il monumentale bollito misto, autentica gloria piemontese; composto da almeno sette tagli di bovino e cinque daccompagnamento, gallina, salsicciotto, ecc. e servito con non meno di quattro salse diverse. Retaggio dei ristoranti, dicevamo, perché è risaputo che un buon bollito nasce da una grande quantità di carne, cosa improponibile per una famiglia, seppur numerosa. Dei formaggi abbiamo già ampiamente parlato; terminiamo perciò questa carrellata con i dolci, quasi tutti di origine ottocentesca, rielaborati dalla fantasia delle massaie prima ancora che da maestri pasticceri, una carrellata tipicamente regionale che va dalla torta di nocciole alla panna cotta, dalle pesche ripiene al forno al Monte Bianco, al classico bonet.

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